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Il sentimento del contrario è un concetto espresso nel saggio sull’umorismo scritto da Luigi Pirandello nel 1908.
Nella prima parte dell’opera, il drammaturgo siciliano, passa in rassegna il significato, il valore e l’equivoco del termine umorismo in vari poeti e scrittori.
“Uno dei più grandi umoristi senza saperlo fu Copernico”, ci dice Pirandello e questo perché l’umorista coglie le contraddizioni e mette a nudo l’illusione per cui ogni individuo si sente al centro della realtà.
In questo senso, l’autoironia per un leader sapiens costituisce un’ ottima vaccinazione contro i rischi di narcisismo patologico che possono derivare dal ricoprire posizioni di potere.
Nella seconda parte del saggio, Pirandello propone una sua definizione di umorismo:
“Nella concezione di ogni opera umoristica, la riflessione non si nasconde, non resta invisibile.
Quasi uno specchio in cui il sentimento si rimira, gli si pone dinanzi da giudice; da questa analisi, però, da questa scomposizione, un altro sentimento sorge e spira: quello che potrebbe chiamarsi e che io difatti chiamo, il sentimento del contrario”.
Il sentimento del contrario è impegnato a trarre dalle situazioni un “senso universale”.
Non è quindi l’avvertimento del contrario: questo è il comico, quello è l’umoristico.
Il passaggio, come suggerisce lo stesso Pirandello, è operato dalla riflessione, a volte anche amara:
“Il comico è il momento iniziale in cui io avverto che una vecchia signora goffamente imbellettata e parata con abiti giovanili, è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere…ma se ora interviene in me la riflessione e mi suggerisce che quella vecchia signora forse non prova alcun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente si inganna, (…) ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, mi ha fatto andare oltre: da quel primo avvertimento del contrario – intuitivo e più immediato – mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario – meno immediato e più riflessivo”.
Pirandello suggerisce, in sintesi, che il compito dell’umorismo è quello di ricercare le cause vere di ogni comportamento al di là delle finzioni sociali o delle “maschere” – forme apparenti – che ciascuno di noi si impone per sostenere un ruolo in carenza di qualità personali sostanziali.
Per Henry Bergson, che esclude qualsiasi valore nella "comicità astratta" delle parole ed attribuisce unica validità alla "comicità umana", risultano comici quegli atteggiamenti rigidi, meccanici, incapaci di aderire alla continua fluidità della vita.
Una comicità involontaria che si esprime nel mancato adeguamento alle circostanze, nell'assente agilità e pieghevolezza dell'animo, nelle fisionomie quasi caricaturali che albergano in uno stato d'animo ostinatamente fisso, fermandosi all'automatismo facile delle abitudini contratte.
Quando queste rigidità appaiono come eccentricità pericolose o anche solo sospette, il riso come fatto sociale le riequilibra, le reintegra in una prospettiva di maggiore socialità.
I percorsi artistici di Alberto Sordi e Totò hanno ricalcato almeno in parte le umoristiche orme pirandelliane e bergsoniane entrando nella storia, non solo quella del cinema e del teatro, del nostro Paese.
Come commenta Massimo Moscati, “Sordi osservava, registrava con acuta intuizione e, dopo averli assimilati, ricreava i “tipi” da riprodurre: il marito, lo scapolo, il seduttore, il moralista, il maestro elementare, il prete di campagna.
A tutti offriva un viso, una movenza, un intercalare frutto di inesauste analisi introspettive: un certo taglio di capelli, un tipo di occhiali, la dentatura, l’andatura, lo sguardo”.
Anche la vis comica del Principe De Curtis attinge direttamente ad uno scetticismo – inteso etimologicamente come ricerca, in greco “skepsis” – che vuole criticare e colpire direttamente tutta la società contemporanea, criticando e colpendo innanzitutto se stesso.
Totò portò sulle scene teatrali e nei set cinematografici la sua grande intuizione: in ogni azione umana comico e tragico sono congiunti. Potremmo ironicamente affermare che a volte il comico è il tragico visto di spalle!
Nello spettatore che ammira Totò è netta la sensazione che le universali paure umane giochino a nascondino con il riso provocato dalle sue esilaranti battute con-fuse nelle innaturali movenze del corpo.
A questo punto, una riflessione è d’obbligo: quante situazioni in azienda, dai rapporti interpersonali fino ai processi decisionali di ogni giorno, possono essere osservate utilizzando l’umorismo come vera e propria “tecnica di analisi e scomposizione della realtà”?
L’umorismo arriva a confrontarsi con il “bisogno del reciproco inganno” (Pirandello), con l’incomunicabilità, con il gioco delle apparenze, con le “varie simulazioni della lotta per la vita; l’umorista le coglie subito, si diverte a smascherarle; non s’indigna; è così!”. (Pirandello)
Il leader sapiens è colui o colei che favorisce la permeabilità tra umorismo ed intelligenza.
Come sostiene Giobbe Covatta: “Ho sempre creduto che ridere senza pensare non sia divertente”.
Il comico, il riso, il sorriso, dirette espressioni di un umorismo ludico, emotivamente intelligente e coinvolgente, sortiscono veri e propri effetti “catartici”, esorcizzando gli aspetti “negativi” delle situazioni.
Secondo Freud, l’umorismo consente di reindirizzare l’energia spostandola verso l’esterno e scaricandola senza somatizzazioni.
Un effetto di vera e propria decompressione emotiva rispetto a situazioni sature di tensione, irritazione, rabbia, frustrazione o paura.
L’umorismo è anche un sistema di protezione psicologica da comunicazioni e atteggiamenti che mirano a ferire.
In altre parole, un conto è prendere una scarica di corrente indossando scarpe di gomma – “Sdrammatizzo, non gli attribuisco peso più di tanto” – altra cosa è riceverla con i piedi nudi nell’acqua – “Sono una vittima, mi rassegno”.
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