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“Qualcuno è qui perché conosce qualcuno; qualcuno invece perché crede di essere qualcuno, ma soltanto uno di voi diventerà veramente qualcuno”
Dal film: “La ricerca della felicità” di Gabriele Muccino (2006)
“Non si dice raccomandato, si dice ‘segnalato’!”.
La battuta è del “Sindaco” Vittorio De Sica nel film “Il Vigile” di Luigi Zampa e si riferisce proprio al fatto che il vigile Otello Celletti, alias Alberto Sordi, era stato “segnalato” da un monsignore nonostante la sua inettitudine ed inadeguatezza al ruolo.
La pellicola cinematografica è del 1960 ma la storia delle raccomandazioni e del nepotismo è vecchia quanto il mondo.
A proposito di monsignori, raccomandazioni e meritocrazia sono come “il diavolo e l’acquasanta”.
Tuttavia, credo siano opportune alcune puntualizzazioni.
In primo luogo, bisogna sgomberare il campo da ogni ipocrisia: chiunque di noi, se avesse l’opportunità di farsi raccomandare, sarebbe uno sciocco od un ingenuo a rifiutare.
In secondo luogo, è necessario distinguere le “raccomandazioni con merito” dalle “raccomandazioni senza merito”.
Le prime sono rappresentate da tutte quelle situazioni in cui la persona raccomandata si merita il posto di lavoro per le competenze che possiede e/o per il fatto che è stata abile nel costruire e coltivare nel tempo una rete di relazioni e di referenze attraverso la quale ha raggiunto il suo obiettivo.
In ogni caso, quel posto di lavoro se lo merita perché in qualche modo lo ha conquistato con astuzia e lo sa valorizzare.
Le raccomandazioni senza merito sono invece quelle che sortiscono l’ “effetto Otello Celletti”: collocare persone incompetenti, pigre e parassite in organizzazioni pubbliche o private, che fanno finta di lavorare e la cui astuzia si trasforma nella furbizia di trovare stratagemmi per darsi malate.
Questi raccomandati senza merito sono dei veri e propri ladri di stipendio che, non solo tolgono il lavoro a chi ha voglia veramente di lavorare, ma causano danni a cittadini, clienti e colleghi in termini di disservizi e atteggiamenti distruttivi.
Esistono organizzazioni in cui possiamo trovare veri e propri “alberi genealogici” di figli, nipoti, padri e nonni entrati in base a raccomandazioni senza merito.
Tale albero è la conseguenza di un sistema di potere degenerato: il nonno o lo zio al potere in un posto chiave imbuca il nipote e magari anche sua moglie.
Oppure incontriamo professori universitari, manager o politici che, nel classico “scambio di favori”, raccomandano dei brocchi referenziandoli come dei purosangue.
Le raccomandazioni senza merito sono dunque agli antipodi della meritocrazia e rappresentano uno dei più grandi ostacoli allo sviluppo di una cultura meritocratica.
Ma cosa significa meritocrazia?
Secondo Roger Abravanel43, “Meritocrazia significa che i migliori vanno avanti in base alle loro capacità e ai loro sforzi, indipendentemente da ceto, famiglia di origine e sesso”.
L’inglese Michael Young coniò il termine con la pubblicazione del suo libro “The Rice of the Meritocracy, 1870-2033: An Essay on Education and Equality”, del 1958.
I migliori, dunque, non in senso elitario o snobistico, ma in termini di reali capacità dimostrate sul campo.
L’ “andare avanti” coincide di conseguenza con il fatto che i “migliori”, ossia coloro che esprimono qualità personali e capacità in modo eccellente, devono occupare posizioni di potere per esercitare una leadership a beneficio di tutti.
Tuttavia, avere talento è una condizione necessaria ma non sufficiente: c’è bisogno di un sistema sociale all’interno del quale esistano le condizioni di pari opportunità, di mobilità sociale, di riconoscimento e valorizzazione dei talenti stessi.
In ogni società realmente meritocratica, chi ha talento è psicologicamente, culturalmente ed economicamente incentivato a coltivarlo e ad esprimerlo ai massimi livelli.
Credo che oggi l’unica definizione possibile di Progresso consista nella capacità di creare e sviluppare società meritocratiche all’interno delle quali chi è bravo viene valorizzato a prescindere dal suo status sociale, luogo di nascita e conoscenze parentali; chi è meno bravo ma volenteroso viene aiutato e chi non è né bravo né volenteroso viene prima invitato a cambiare atteggiamento e poi licenziato.
La meritocrazia è l’unico modo di governare realmente democratico ed assicurare a tutti pari opportunità.
In una società meritocratica, al potere ci deve andare soltanto chi è bravo, nel senso manageriale di competente, al fine di aiutare tutti gli altri a vivere la loro vita con dignità, giustizia e vera “uguaglianza di opportunità”.
In ogni caso, valga per tutti, raccomandati e non, la citazione di Goethe:
“Quello che hai ereditato dai padri, riconquistalo se vuoi possederlo veramente”.
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