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“Bisogna guardare la partita con gli occhi del giocatore” L’Autore
La Formazione in azienda è un evento “polivalente” a tutti gli effetti.
Può assolvere, consciamente o inconsciamente, diverse funzioni, alcune delle quali nobili – come risultato del suo corretto ed etico utilizzo – altre meno nobili – come conseguenza di una cattiva strumentalizzazione – altre ancora indefinite – come sostanziale effetto di un’ “ignoranza manageriale”, fino ad arrivare ad alcune funzioni del tutto riprovevoli.
Tra le funzioni nobili, annoveriamo:
Tra le funzioni meno nobili, troviamo:
Tra le funzioni indefinite e quindi fonte di ambiguità e di scarso valore aggiunto sia per le persone, sia per l’organizzazione, figurano:
Con quale finalità?
Quali sono gli obiettivi aziendali da collegare all’evento?
A cosa l’intervento mira esattamente?
Quale filo di continuità/collegamento esiste con le altre attività di sviluppo?
Quali saranno i criteri di scelta della società di consulenza esterna che erogherà l’intervento?
Le risposte a queste domande rimangono sovente inevase o appunto, indefinite.
Tra le riprovevoli:
Tali considerazioni, supportate dall’osservazione sul campo, si collegano al fatto che il mercato della formazione, soprattutto di quella manageriale/comportamentale è una vera e propria giungla variopinta, affollatissima di “formatori”, di “consulenti”, di “coach” e di “trainer” , alcuni dei quali competenti, altri molto improvvisati.
Il problema, a volte, è che l’azienda cliente non riesce a distinguere gli uni dagli altri.
Questa guida vuole rappresentare una sorta di vademecum da utilizzare proprio per riuscire a differenziare chi opera professionalmente da chi si spaccia per consulente-formatore dalle dubbie capacità.
Il principio guida è che la formazione è sempre figlia di una consulenza qualificata.
Consulenza come termine viene da consiglio; dare il “buon consiglio” può rappresentare quindi l’essenza stessa del “mestiere di consulente”.
Indico questa espressione con le virgolette perché di fatto, chi più chi meno, in un certo momento della vita, si ritrova a dare il suo personale consiglio a qualcuno.
Ecco allora che in quel preciso istante, il benessere, il suggerimento o l’incoraggiamento che l’interlocutore si aspetta di ricevere sono nelle mani o per meglio dire, nella bocca di chi sta per pronunciarsi.
Insomma…c’è un Azzeccagarbugli in ognuno di noi!
Chi invece sceglie per mestiere di fare il consulente, il formatore, l’insegnante, il professore universitario, il coach, si incammina su una strada che non è soltanto passione autorealizzativa ma anche e soprattutto dedizione autentica nei confronti di tutti coloro che fruiscono dei suoi servizi e che si aspettano un preciso valore aggiunto spendibile nelle attività di ogni giorno.
Il consulente formatore etico deve essere una persona che si impegna nei confronti del mercato nel dare informazioni corrette e che si assuma la responsabilità di essere trasparente nell’azione, nel rispetto di individui ed ambienti.
Tale figura non parla come un oracolo e tanto meno con “l’effetto esperto”, calando le cose dall’alto: è un professionista che facilita la comunicazione, stimola la riflessione, suggerisce metodi da applicare, comportamenti da rivedere, strumenti da utilizzare.
Più che portare fiori recisi, insegna alle persone e alle aziende come coltivarne di propri, lasciando il dono più prezioso in termini di apprendimento: l’autonomia nella gestione delle competenze e delle risorse acquisite.
Rendere autonomo il cliente è il maggior indicatore di successo di un intervento consulenziale e formativo.
Progettare la formazione in azienda significa quindi tener conto delle riflessioni fin qui evidenziate, avere una visione sincronica e diacronica dell’evento formativo e del suo impatto nel breve-medio e lungo termine, essere consapevoli che solo alcune variabili possono essere definite a priori e che “tutto il resto” può avere a volte contorni così sfumati da risultare anche ambigui.
In diverse circostanze, poi, la progettazione si scontra con un altro problema molto diffuso all’interno delle organizzazioni: le criticità che nascono da quello che potremmo indicare come “le situazioni formative scisse”.
Riflettiamo sui seguenti casi di “scissione”.
Primo caso
“Chi vende vs. chi svolge operativamente gli interventi”
Una figura commerciale ha venduto il progetto e tiene i rapporti con i referenti dell’azienda Cliente ma non sarà lui/lei ad andare in aula e/o a svolgere gli interventi richiesti.
Il venditore può dimostrarsi in qualche misura “geloso” del suo cliente, tenere a distanza i colleghi operativi ed instaurare quindi un tipo di comunicazione triangolare.
Se poi bisogna coinvolgere dei free lance esterni, la sua ansia aumenta, sfociando anche in paranoie del tipo: “Potrebbe portarmi via il Cliente…”.
La criticità si concretizza nel momento in cui il consulente formatore “operativo” svolge solo la funzione di erogare gli interventi senza avere o avere in maniera insufficiente, la necessaria “frequentazione” diretta con i referenti dell’azienda.
Tale scissione può compromettere la piena comprensione delle “sfumature”, delle esigenze e delle strategie del Cliente, a cui si lega l’efficacia del progetto stesso.
Il free lance di turno o il collega del commerciale, come un killer professionista, si reca sul posto, apre la sua valigetta, svolge l’intervento e se ne va.
Se il consulente formatore e la figura commerciale che tiene il rapporto con l’azienda committente non si integrano tra loro a dovere, la “scissione progettuale” è garantita così come anche la perdita di valore per il Cliente.
Secondo caso
“Chi progetta vs. chi svolge gli interventi”
La seconda situazione scissa si verifica quando, rispetto ad uno stesso progetto, c’è chi si occupa solo della progettazione – realizzazione scaletta, slide, esercitazioni ed altro materiale – e chi andrà in aula o in altri contesti ad erogare l’intervento.
Anche in questo caso c’è una forte perdita di valore aggiunto ed il rischio concreto di produrre interventi non tarati.
In altre parole, la catena di montaggio della formazione è vivamente sconsigliata. Tale meccanico assemblaggio può produrre l’ “effetto corsificio”che ha tra le sue conseguenze più negative il propinare “a tutti le stesse cose” e il disporre di formatori che lavorano su dei materiali che sono “le fotocopie delle fotocopie” fatte da qualcun altro.
Terzo caso
“Formazione tecnica vs. Formazione commerciale”
Nel corso dei miei quindici anni di lavoro nella formazione, ho contato sulla punta delle dita le occasioni in cui la formazione tecnica, imperniata sulla conoscenza approfondita delle caratteristiche di un prodotto/servizio, si è integrata con quella commerciale, focalizzata invece sulla psicologia del rapporto con il Cliente, sulle tecniche e metodologie di vendita e sulla comunicazione professionale.
Di fatto, è molto raro trovare una Direzione commerciale che pensi ad integrare in uno stesso contesto le due formazioni.
In altre parole, invece di progettare un’aula e/o un coaching con la presenza in contemporanea del formatore tecnico e di quello commerciale, azione che assicurerebbe la massima efficacia formativa, molte aziende si limitano all’approccio sequenziale: prima la formazione sugli aspetti tecnici del prodotto/servizio e poi, eventualmente, interventi sulla comunicazione e la relazione con il Cliente.
Nella misura in cui tale sequenzialità è governata all’interno di un processo di sviluppo articolato e definito in modo efficace, non sussistono particolari criticità.
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, la formazione tecnica rimane l’unica ad essere svolta o comunque viene scissa inefficacemente – come nel caso in cui, ad esempio, venga troppo posticipata – da quella commerciale.
Situazione che sovente riflette la mancanza di dialogo e di sinergie tra le diverse funzioni interne dell’azienda.
Progettare la formazione è dunque un’attività che si confronta spesso con problematiche complesse, a volte ambigue, in certi casi paradossali, che possono essere generate dalla committenza, dal luogo dove vengono svolti gli interventi formativi, dai partecipanti che vivono il momento di aula come l’occasione per “sfogarsi” e scaricare addosso al formatore di turno frustrazioni e lamentele che non possono trovare spazio in azienda.
In questo senso, la professionalità del consulente formatore e della società che rappresenta deve essere giocata a tutto campo: dal contatto iniziale con il Cliente alla creazione del team di progetto, dalla fase progettuale all’erogazione degli interventi, dalla valutazione delle attività al consigliare il Cliente su come utilizzare per il futuro i risultati ottenuti.
Progettare la formazione significa soprattutto lavorare sulla “formatività” del progetto stesso, vale a dire l’interconnessione funzionale tra utilità, applicabilità, attrattività ed affinità, percepita e vissuta dai partecipanti e dall’azienda.
Per assicurare la formatività necessaria ad ogni progetto, è opportuno tenere presente i seguenti principi di efficacia.
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