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Innovazione e Produttività rappresentano gli ambiti nei quali non solo le aziende ma anche gli Stati confrontano i loro vantaggi competitivi.
Per questo motivo, le politiche di sviluppo ed i processi di apprendimento hanno già assunto, ed avranno ancor più in futuro, un ruolo determinante, perché innovazione e produttività derivano dall'applicazione diretta della conoscenza.
Tuttavia, la conoscenza da sola non basta.
C’è bisogno di una forte spinta commerciale a tutti i livelli.
Il presidente della Repubblica Popolare Cinese, Hu Jintao, va a negoziare personalmente contratti per l’estrazione del petrolio in Africa centrale; il presidente brasiliano Lula si attiva in prima persona per la realizzazione di pozzi di petrolio in Brasile dichiarando ambiziosamente di voler raggiungere l’obiettivo dell’indipendenza energetica del suo Paese.
Presidenti che vendono: la più alta carica di uno stato che diventa un commerciale.
Magari lo diventassero anche i nostri presidenti!
Come ci ricorda il consulente aziendale Stephen Sondheim, “Ogni cosa dipende dall’applicazione pratica; avere solo una visione non è una soluzione”.
La competitività nasce dalla capacità di fare ricerca qualificata e di concretizzarla in prodotti/servizi a valore aggiunto, da esportare su scala mondiale.
Questo significa trasformarsi da mercato di sbocco – che importa – a produttore che esporta.
Concretamente, occorrono meno centri commerciali e più centri di ricerca e sviluppo, meno soldi per la pubblicità inutile e più investimenti per la formazione, meno discorsi retorici è più risorse finanziarie per l’ammodernamento di strutture ed infrastrutture, meno mentalità amministrativa e più voglia di intraprendere.
Questa è la strada per recuperare la competitività delle aziende e del sistema Italia.
Sviluppare innovazione significa sostanzialmente:
( Fig. 4 )
Svolgere una formazione di qualità relativa significa tener conto dei vincoli concreti, delle specificità del business e del posizionamento, al fine di evitare investimenti sbagliati.
Fig. 4) La spirale della creatività. (Schema tratto da un manuale della formazione Telecom Italia, 1998)
Aumentare la produttività invece comporta:
La creatività è il terreno nel quale nascono le soluzioni innovative.
Per Edward De Bono, storico “inventore” del “pensiero laterale” e dei “sei cappelli per pensare”, la creatività è la capacità continua di produrre idee, non solo di tipo tecnico: creativo è chi produce nuovi modi di pensare e di agire realizzando innovazioni, soluzioni e cambiamenti apprezzati a livello organizzativo e/o a livello sociale.
A proposito dell’ “apprezzamento esterno”, è importante considerare che il criterio dell’originalità, presente in ogni attività creativa, è insufficiente se è disgiunto da una legalità generale che consente all’attività creativa di essere riconosciuta da altri individui e di essere quindi socialmente legittimata.
L’accadere della creatività secondo delle regole è ciò che la distingue dall’arbitrarietà.
La prima è legittima, la seconda no.
La creatività nella formazione, ad esempio, vive costantemente in bilico su questo crinale: se scivola sul versante dell’arbitrarietà e della mancanza di criteri, determina quella situazione di sperimentalismo di cui ci occuperemo nel capitolo cinque.
Essere innovativi significa dunque saper leggere tra le righe dei cambiamenti ed agire con tempestività, anche perché oggi “chi esita è perduto”.
Dal mio punto di vista, non esistono “piccole” e “medie” imprese perché ogni azienda è una “grande impresa” per il solo fatto di competere sul mercato.
Anzi, più è piccola o piccolissima, pensiamo ad esempio alla miriade di liberi professionisti – ditte individuali – più il “merito” è degno di nota.
Queste imprese lottano ogni giorno per difendere gagliardamente quote di mercato o conquistarne di infinitesimali e c’è anche chi, in questa battaglia, purtroppo “soccombe” ma tutto questo fa sportivamente parte del gioco.
“La formazione è una leva strategica per lo sviluppo”.
Riguardo tale affermazione sulla carta c’è consenso quasi unanime , nella pratica molte aziende pestano ancora l’acqua nel mortaio.
Secondo Carlo Callieri, vicepresidente di Confindustria, “La formazione è il futuro, ma nessuno ci crede.
Un paese che non riesce a pensare al domani è un Paese senza domani”.
La riflessione che a questo punto propongo è: perchè molti imprenditori, manager e collaboratori si esaltano e gioiscono – giustamente – per la vittoria della nostra nazionale di calcio ai mondiali e poi non riescono o – peggio – non hanno interesse a trasferire nel loro contesto di lavoro le stesse “modalità di funzionamento della squadra” che hanno consentito agli azzurri di vincere il titolo mondiale?
Perché a volte è così difficile capire che senza gli sforzi non si va da nessuna parte?
Due anni di preparazione attenta ed impegnativa a Coverciano, di training specifici, di un eccellente coaching psicologico svolto da Marcello Lippi, la determinazione cha ha accompagnato la squadra durante tutto il mondiale fino alla sua memorabile conclusione: a parte una vincita alla lotteria, per il resto il successo non arriva per caso.
Così come nel calcio, anche ogni azienda sul mercato è chiamata sia a tenere il campo da gioco – priorità numero uno – sia ad attivare le energie e le capacità della sua squadra – priorità numero due – per vincere le partite.
Per la priorità numero uno il management dovrà:
Per la priorità numero due il management dovrà:
Le attività formative destinate ai manager e ai collaboratori rappresentano il necessario supporto per svolgere in modo eccellente le azioni che condurranno agli obiettivi.
La formazione sta alla preparazione atletica come un professionista sta ad un atleta agonistico.
Questa è l’equazione da tenere costantemente presente.
Essere imprenditori, manager o professionisti del proprio lavoro non significa dedicarsi all’arte dell’ improvvisazione o dell’ arrangiarsi bensì esprimere la ferma volontà di sviluppare una professionalità arricchita del gusto di voler far bene le cose, appassionando se stessi e gli altri.
Per la maggior parte delle persone è difficile appassionarsi al proprio lavoro e tale mancanza di entusiasmo rappresenta una delle maggiori criticità vissute dalle persone e dalle organizzazioni.
I motivi ascrivibili agli individui possono essere:
Le cause imputabili alle aziende possono essere:
In ogni caso, come tra due partner le responsabilità dell’insoddisfazione di coppia vanno percentualmente ripartite, in linea di principio, cinquanta e cinquanta, così altrettanto accade nel rapporto individuo-azienda.
Gli eventuali “sbilanciamenti” vanno analizzati caso per caso.
Tuttavia, per centrare gli obiettivi dello sviluppo, dell’innovazione e dell’aumento della produttività è necessario che individui ed aziende si scrollino di dosso le sanguisughe dell’apatia e del lamento e ritrovino quel sano spirito agonistico, sfidando soprattutto se stessi nel superare pregiudizi e convinzioni negative.
Avere il desiderio come spinta verso il raggiungimento degli obiettivi piuttosto che la paura, il rancore od il risentimento fa una bella differenza in termini di qualità dell’energia che viene attivata.
Lanciare lo sguardo oltre la ristretta siepe dello stipendio a fine mese verso i più ampi orizzonti della realizzazione personale, della ricerca di nuove stimolazioni e di un rinnovato spirito professionale rappresenta senz’altro il modo più sicuro per raccogliere importanti soddisfazioni nel lavoro, compresa una maggiore remuneratività economica.
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