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“Come nella vita così nel golf, la pallina va a finire là dove la indirizziamo”
Pay off del “Golf Indoor Management
Training” di Olympos Group
Nella cultura greca gli esercizi ginnici e l’educazione del corpo si compenetravano con l’educazione intellettuale e dello spirito e facevano parte della formazione della persona, sia per la preparazione alla guerra, che aveva un ruolo primario a Sparta, sia per l’integrazione della bellezza del corpo con quella dell’anima, come era invece più tipico della mentalità ateniese.
Le competizioni sportive consentivano ai partecipanti di manifestare appieno la forza, il coraggio e la valentia. Il loro pubblico riconoscimento assicurava non soltanto la conquista del premio, talvolta soltanto di valore simbolico e tuttavia non per questo meno ambito, ma soprattutto la fama per se stessi, per la propria stirpe o per la città alla quale si apparteneva.
Nella Repubblica, Platone enuncia nel suo programma pedagogico la centralità dell’educazione fisica in abbinamento a quella spirituale per la formazione del cittadino perfetto: la prima senza la seconda rende l’uomo rozzo e collerico, mentre – precisa sulla stessa linea Aristotele (Politica, VIII, 4) – “Coloro che spingono eccessivamente i figli in tali esercizi, rendendoli ignoranti delle cose necessarie, ne fanno in verità degli ignobili, dal momento che li rendono utili solo ad una funzione dello Stato”.
Proseguendo nella storia, “Il medioevo e il Rinascimento, più d’ogni altra epoca dell’uomo, hanno approfondito teoricamente il concetto ed il bisogno di formazione specifica per scopi morali, filosofici e pratici, e sviluppato modelli e contesti dove la formazione logica o scientifica avveniva secondo itinerari selettivi e suggestivi. (…)
Il chierico, avviato ad una carriera ecclesiastica e politica di rilievo, affrontava prima il Trivio – grammatica, retorica, logica – poi il Quadrivio – aritmetica, geometria, musica ed astronomia – per avere finalmente accesso alla somma arte della Teologia e alla pratica della Filosofia.
Formazione dell’anima, dunque, e non della mano, arti “liberales” perché “degne dell’uomo libero” e “liberatrici dell’uomo”.
Se la storia è maestra di vita, abbiamo ancora molto da imparare o reinterpretare da questi “passati” modelli di formazione intrecciati con i valori della spiritualità, soprattutto per sopravvivere nel nostro attuale mondo dominato da sfrenati interessi economici e danzante sull’orlo del caos.
La formazione come palestra della professionalità non vuole mettere in evidenza soltanto i requisiti attitudinali, fisici e psicologici necessari a realizzare delle performance eccellenti sul lavoro o sul mercato.
Vivere solo per essere “performanti” non può che generare stati di ansia e condizioni di abbrutimento fisico e spirituale.
La “palestra” che intendiamo mira a “formare” uomini e donne che rappresentino dei modelli di qualità umane prima ancora che professionali.
La formazione nelle organizzazioni deve sviluppare modelli etici di gestione del business prima ancora che ragionare su quali competenze occorrano per attuarlo.
L’ “atletismo” inteso come mera manifestazione di forza e di grandezza serve a nulla se ad esso non si associano valori come il rispetto delle regole del gioco, del mercato, dei consumatori, dell’ambiente e della dignità umana.
Alcune ore prima dell’inizio del Palio, nelle chiese delle contrade di Siena, viene celebrata la benedizione dei cavalli che affronteranno la storica sfida nella suggestiva cornice di Piazza del Campo.
In un particolare clima misto di religioso silenzio e pagano fervore, il sacerdote, di fronte al cavallo, pronuncia la sua formula benedicente che si conclude con un vigoroso: “Và, e torna vincitore!”.
L’importante, dunque, è sia partecipare sia vincere, almeno per chi crede nel valore sportivo dell’agonismo e nella grande soddisfazione di raggiungere le proprie mete.
Per le persone e le organizzazioni questo significa eccellere nel mestiere che si svolge o nella mission dichiarata, differenziarsi dagli altri competitors, conquistare meritatamente il proprio “palio”.
Come sostiene Jack Welch, “Vinci se conosci la sconfitta.
Ma se non sei il numero uno, o al massimo il numero due del tuo settore, lascia perdere”.
Sono d’accordo.
La mediocrità non serve a nessuno.
Quanti danni o insoddisfazioni possono causare un politico, un manager, un insegnante, un consulente formatore, un medico, un idraulico, un autista, una baby sitter, un dirigente delle forze dell’ordine – e via dicendo – mediocri?
Una mediocrità manifestata soprattutto in termini di atteggiamento, come l’ insegnante che non si aggiorna, il politico che intrallazza o il manager nevrotico.
Le alternative sono soltanto due: lasciar perdere, nel senso di cambiare lavoro oppure rimboccarsi le maniche e progettare seri piani di formazione e di sviluppo personale.
Il vero professionista, secondo me, è colui che ha il coraggio di “denunciare” a se stesso la propria ignoranza e dargli spietatamente la caccia, fino a stanarla nei più angusti recessi della mente e del cuore.
La formazione attiva processi di riflessione che facilitano l’accesso alle forze intuitive latenti in ognuno di noi, quei fiumi carsici di energia che scorrono nel nostro essere e che possono condurci nei mari di vaste conoscenze.
Tuttavia, la conoscenza da sola non basta per vivere e lavorare bene.
E’ come se identificassimo il valore di un atleta solo con la sua forza muscolare.
Se ne era già accorto, circa duemilacinquecento anni fa, Senofane di Colofone, il quale, in un’elegia trasmessaci da Ateneo, così argutamente osservava:
“della forza, infatti, migliore, sia degli uomini sia dei cavalli, è la nostra bravura.
Tutto questo a torto si valuta, e non è giusto invero anteporre la forza all’utile scienza” (vv. 11-14).
Le conoscenze vanno dunque trasformate in un’ “utile scienza” che abbia sia un valore strumentale, applicativo, sia soprattutto etico-esistenziale.
Mi auguro che l’attuale “Società della Conoscenza” si trasformi presto in “Società dell’Intelligenza” e che i “Knowledge Workers” diventino quanto prima dei “Professional Workers” – vale a dire professionisti di un mestiere rispettati come tali e non precaria “manovalanza intellettuale”.
La vera risorsa strategica per gli individui, le aziende ed i sistemi sociali è quindi la “metis”, meravigliosa parola greca che indica le virtù legate all’intelligenza, alla duttilità mentale, alla progettualità, alla creatività.
Come la porta della competitività non si apre con un’unica chiave ma richiede piuttosto l’attivazione di una “combinazione” di più elementi, così la formazione-palestra della professionalità da sola non basta per assicurare il successo di un’organizzazione.
I fattori che ogni azienda deve tener presente per supportare/integrare efficacemente la formazione sono:
Ogni individuo è invece chiamato a sviluppare un atteggiamento di fondo “vincente”, orientato alla piena autorealizzazione e all’offerta di un contributo di servizio e positività alla collettività.
“Vincere” umanamente e professionalmente significa:
Per quanto riguarda il futuro della formazione nel Sistema Italia, credo che gli obiettivi da perseguire urgentemente siano:
Il valore aggiunto di ogni formazione si manifesterà nella capacità delle persone di creare continue connessioni tra i vari campi del sapere e muoversi agevolmente all’interno di complessità che richiedono la gestione di un numero sempre più elevato di variabili.
Concludo questa guida pratica alla formazione ricordando le parole di Guglielmo da Baskerville, l’investigatore medievale creato da Umberto Eco ne “Il nome della rosa”:
“I libri non sono fatti per crederci ma per essere sottoposti ad indagine.
Di fronte ad un libro non dobbiamo chiederci cosa dica ma cosa vuole dire”.
Mi auguro che il lettore, “sottoponendo ad indagine” questa guida, trovi utili applicazioni e soprattutto degli agganci concettuali per sentirsi ancora più motivato ed efficace nello sviluppo della propria professionalità.
Buon allenamento a tutti!
Roberto Caielli, “Machiavelli e dintorni: riflessioni sulla formazione ‘alta’”, su Espansione, n.3 del marzo 2003
World Business Forum di Milano, 27 e 28 ottobre 2004
Citato da: Mario Alighiero Manacorda, “Etruschi, Greci, Romani a scuola”, Edizioni Scipioni, Valentano (VT), 2000
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